Alla fine del mio libro “Il progetto urbano nella città contemporanea” (Clean edizioni, 2011) indicavo sei principi o buoni “doveri” per la pianificazione urbana e territoriale delle città di oggi. Il libro è stato pubblicato nel 2011 ma ritengo quei principi ancora validi. Ecco quali sono:
Dal lavoro che precede sono tratti alcuni convincimenti sullo sviluppo e la pianificazione della città contemporanea, che su invito della rivista internazionale di architettura Le Carré Bleu [i] ho già formulato in termini di “doveri” – o “principî” – per gli urbanisti delle città di oggi. Sei doveri che nascono da altrettanti profondi convincimenti.
1. DOVERE DI CONOSCENZA. Anzitutto, è necessario rivolgere lo sguardo a diverse realtà urbane, per confrontarne i problemi e le soluzioni adottate. Dal nostro esame emerge che, pur con tutte le differenze, le città europee affrontano problemi simili con strumenti e soluzioni simili, o comunque comparabili tra loro. Ci riferiamo in modo particolare ai contenuti convergenti alla scala continentale dei “piani strategici” (o Projets de ville) come visioni complessive di sviluppo delle città e dei “progetti urbani” come strumenti attuativi di quelle visioni e programmi generali.
Laddove inoltre le proposte e soluzioni innovative adottate localmente non sono ancora diffuse altrove, esse devono essere attentamente studiate per verificarne le possibilità di applicazione anche in altri contesti.
Il PRIMO “DOVERE” che risulta da queste considerazioni può essere definito un DOVERE DI CONOSCENZA, cioè di costante aggiornamento e confronto internazionali alla ricerca di risposte innovative a problemi comuni. Un dovere dato sovente per scontato che tuttavia non è ancora sufficientemente sentito come opportunità concreta dai professionisti del settore e soprattutto dai governanti eletti della pianificazione territoriale.
2. DOVERE ECOLOGICO. Il secondo convincimento è che si considera ormai conclusa la fase di espansione indiscriminata delle città e di consumo illimitato delle risorse ambientali. Le realtà esaminate cercano tutte, benché in maniere differenti, di ricondurre l’esplosione metropolitana degli ultimi decenni nei termini di nebulose riconoscibili, privilegiando il recupero e la trasformazione dell’esistente oppure l’espansione di tipo lineare o lineare-anulare, in stratta corrispondenza con i servizi di trasporto pubblico collettivo.
Attraverso il concetto di “densificazione” si cerca di restituire dignità urbana a tutte le attuali periferie e di reintrodurre nelle città ampie aree verdi, naturali o agricole. In questo senso, i “progetti urbani” si servono sovente, in forma congiunta, sia di trame urbane tradizionali produttive di “effetto città”, sia degli schemi desunti dalla modernità (Carta d’Atene) per un più stretto rapporto con il paesaggio. Inoltre, è soprattutto nella prossimità urbana che trovano l’utilizzazione più proficua le nuove tecnologie energetiche, come nel caso non solo del solare ma anche delle centrali di cogenerazione o nello sfruttamento dell’energia geotermica.
Un ruolo essenziale in questo contesto è giocato dalle reti del trasporto pubblico collettivo, che evolvono dal tipo quasi esclusivamente radiale dei decenni passati al tipo radiale-concentrico di oggi, in cui le aree di espansione periferica sono direttamente collegate tra loro. L’obiettivo non è solo quello di ridurre l’inquinamento e il traffico automobilistico ma anche quello di migliorare la qualità dello spazio pubblico privilegiando la mobilità alternativa , soprattutto pedonale e ciclabile.
Possiamo dunque definire il nostro SECONDO “DOVERE”, in termini generali, come DOVERE ECOLOGICO, tendente a ridurre il consumo di suolo e di risorse naturali per una migliore sostenibilità energetica e ambientale degli insediamenti.
3. DOVERE DI PROGETTARE LA COMPLESSITÀ. Il terzo convincimento riguarda il netto rifiuto dei vecchi concetti di “zoning” funzionale e sociale e di “tabula rasa”, considerati tra i principali responsabili della condizione di “periferia” in molti quartieri della città moderna. Oggi, viceversa, si riconosce la necessità di estendere a tutte le parti urbane adeguati caratteri di complessità altrimenti tipici dei centri storici, contrassegnati da ricchezza e commistione di funzioni e attività, stratificazione urbanistica e architettonica, alta densità informativa. Ciò corrisponde peraltro anche alle esigenze della sostenibilità ambientale – evocate al punto precedente – in quanto la prossimità di residenze e commerci, attività produttive compatibili e servizi per la collettività consente di svolgere molte pratiche sociali a piedi o in bicicletta, riducendo così anche il ricorso alle auto private.
Che si tratti di vecchie zone dismesse da ristrutturare o di quartieri da realizzare ex novo, l’obiettivo della complessità urbana può essere validamente perseguito solo alla scala ravvicinata del “progetto urbano”, attraverso un’attenta lettura dei caratteri naturali del sito e delle preesistenze antropiche. La necessità di concentrare in superfici relativamente ristrette funzioni molto diverse tra loro come attività urbane, residenze, spazi verdi e di loisir, attribuisce grande importanza allo spazio pubblico ai fini dell’articolazione e distribuzione delle differenze. In questo senso, il “progetto urbano” può essere definito come un costruttore di complessità, un edificatore di città.
Tale complessità risponde peraltro alla straordinaria diversificazione sociale della città contemporanea e ai diritti emergenti delle infinite categorie demografiche e socio-professionali che la popolano: dalle donne, agli anziani, ai bambini e ragazzi, fino alle minoranze civili ed etniche. A tutti l’urbanistica ha il dovere di offrire spazi adeguati, evitando tuttavia le ghettizzazioni, secondo il “principio etico” di Heinz von Foerster: «Agisci sempre in modo da aumentare il numero delle scelte»[ii].
Definiamo dunque il TERZO “DOVERE” come un DOVERE DI COMPLESSITÀ, o un DOVERE DI PROGETTARE LA COMPLESSITÀ.
4. DOVERE DI COMUNICAZIONE, PARTECIPAZIONE E GOVERNANCE. Il quarto convincimento è che, così stando le cose, il progetto della complessità è esso stesso un progetto complesso, popolato da molte voci, con una ricca geografia sociale [iii] oltre che fisica a cui fare riferimento. Il punto di vista degli abitanti della città, dei residenti dei quartieri oggetto di trasformazione e dei quartieri vicini è fondamentale per comporre correttamente la mappa sociale dei bisogni e degli interessi coinvolti ed offrire risposte pertinenti. La partecipazione dei cittadini comuni si rivela particolarmente preziosa soprattutto alla scala del “progetto urbano”, purché essa sia sollecitata in modo sincero da istituzioni credibili.
Più in generale, il carattere “controllato” dello sviluppo urbano contemporaneo lungo linee d’espansione e densificazione ben definite, obbliga a coordinare gli sforzi di molteplici attori e interessi verso obiettivi condivisi. Ciò può avvenire solo attraverso adeguate tecniche di comunicazione e governance in grado di conciliare le finalità spesso contrapposte di soggetti pubblici, privati e della società civile. Il progetto della complessità è dunque anche un progetto di composizione e mediazione d’interessi diversi, inclusi quelli più deboli o minoritari.
La comunicazione e partecipazione dei cittadini sono inoltre fondamentali per ottenere comportamenti orientati agli interessi generali della comunità e migliorare costantemente la qualità del funzionamento urbano. Ciò contribuisce anche al senso di consapevolezza e responsabilità dei cittadini.
Il QUARTO “DOVERE” è un DOVERE DI COMUNICAZIONE, PARTECIPAZIONE E GOVERNANCE.
5. DOVERE DI COESIONE, BELLEZZA E COMPETITIVITÀ URBANA. Il quinto convincimento è che la città deve essere bella e piacevole da vivere. Per la prima volta dopo decenni, la qualità dell’ambiente urbano non è più in conflitto con la competitività economica grazie alla rivoluzione terziaria e delle nuove tecnologie. È anzi proprio la qualità urbana il primo ingrediente del successo delle città come luoghi per investire, vivere, studiare e lavorare. Occorre tuttavia passare dalla filosofia del “troppo bello per essere possibile” a quella del “possibile proprio perché bello”[iv].
Qualità urbana e competitività economica, fenomeni oggi strettamente associati tra loro, spiegano in gran parte la crescita demografica di alcune città europee. Ricerche recenti dimostrano che l’aumento di popolazione e un più favorevole bilancio demografico (giovani su anziani) non è imputabile esclusivamente agli immigrati, pur numerosi, ma a condizioni di vita favorevoli per tutti[v]. Resta tuttavia essenziale per le città la capacità di assorbire e giovarsi delle diversità, favorendo sentimenti di coesione, tolleranza e relazionalità creativa in società sempre più variegate e multiculturali. A ciò contribuiscono occasioni di lavoro per tutti – non solo per i più istruiti – e servizi locali efficienti.
Ma c’è una ragione ulteriore per associare qualità urbana e coesione sociale. Riteniamo infatti che sia proprio la solidarietà tra le diverse categorie di cittadini, la migliore conoscenza reciproca e la partecipazione di tutti al governo delle città a costituire i fondamenti di una bellezza non asettica ma sostanziale e dinamica dell’ambiente urbano. Questo non vuol dire che a buoni progetti non debbano seguire eccellenti realizzazioni formali.
Il QUINTO “DOVERE” è allora un DOVERE DI COESIONE, BELLEZZA E COMPETITIVITÀ URBANA.
6. DOVERE DI BUONA AMMINISTRAZIONE. Il sesto convincimento conferma il ruolo insostituibile che gioca la pubblica amministrazione nella pianificazione urbanistica e nel governo del territorio. Tra i suoi compiti più importanti vi è infatti quello di individuare gli indirizzi fondamentali dello sviluppo futuro attraverso adeguate tecniche di comunicazione e confronto con gli stakeholders. Essa deve inoltre dare seguito a tali indirizzi, promuovendo il coordinamento pubblico-privato di molteplici soggetti – proprietari, imprenditori, professionisti e altre autorità – per la realizzazione delle infrastrutture e dei progetti urbani necessari. Le opere devono essere ultimate in tempi ragionevoli, di alta qualità e gestite successivamente con adeguate risorse ordinarie.
Per svolgere questi compiti, le istituzioni devono mostrarsi competenti e in grado di utilizzare nel modo migliore i fondi pubblici a loro disposizione. Il loro successo dipende in gran parte dalla credibilità di cui godono presso la pubblica opinione, dalla concretezza dell’azione condotta e dalla capacità di ascolto e reazione nei confronti dell’utenza per il costante miglioramento dei servizi resi.
Le istituzioni devono inoltre impegnarsi a rendere più chiare e flessibili le leggi che governano il territorio, rimanendo tuttavia inflessibili nel reprimere gli abusi edilizi e i danni all’ambiente. Altrettanto inflessibili devono essere nel promuovere al proprio interno il merito e la correttezza dei comportamenti amministrativi.
Il SESTO “DOVERE” è un DOVERE DI BUONA AMMINISTRAZIONE.
Occorre infine ricordare che un decalogo di “doveri” può essere esauriente ma mai esaustivo, dato il carattere sintetico e mutevole delle questioni ritenute prioritarie in un dato momento. Inoltre questi doveri, per produrre risultati concreti, più che nei codici di legge devono entrare nelle convinzioni diffuse e nelle pratiche quotidiane della società. Tale risultato può essere raggiunto solo contro forti interessi consolidati, e contro retaggi culturali difficili da superare. Tra questi, l’idea che la produzione di ricchezza debba necessariamente avvenire a danno di altri o dell’ambiente.
NOTE:
[i] Maurizio Russo, Projet de “Déclaration des devoirs des hommes“ et construction de la ville contemporaine. Quelques bonnes pratiques en Europe, “Le Carré Bleu“, feuille international d’architecture, in 3 lingue (francese, inglese, italiano), n. 3-4/2009, pp. 9-89.
http://www.lecarrebleu.eu/allegati/3-4%202009%20screen.pdf
[ii] Heinz von Foerster, Costruire una realtà (1973), in: Paul Watzlawick (a cura di), La realtà inventata. Contributi di costruttivismo, Feltrinelli, Milano, 1988, p. 55.
[iii] Maurizio Russo, Il ritorno degli esclusi. Progetti urbani e politiche pubbliche a Ginevra 1996-2000, “Area Vasta”, n. 10-11, 2005 :
http://www.areavasta.eu/av_2005n10e11/Osservatorio_europa_pag24_32.html
[iv] Eduardo Leira, Bilbao: una rivoluzione urbana, “Economia della cultura”, n. 4, 2006, p. 500.
[v] Mikko Myrskylä, Hans-Peter Kohler, Francesco C. Billari, Advances in Development Reverse Fertility Declines, “Nature”, n. 460 (7256), pp. 741-743; Rita Querzé, Cresce il benessere, nascono più bambini, “Corriere della Sera”, 6 agosto 2009, p. 11.
Dal lavoro che precede sono tratti alcuni convincimenti sullo sviluppo e la pianificazione della città contemporanea, che su invito della rivista internazionale di architettura Le Carré Bleu [i] ho già formulato in termini di “doveri” – o “principî” – per gli urbanisti delle città di oggi. Sei doveri che nascono da altrettanti profondi convincimenti.
1. DOVERE DI CONOSCENZA. Anzitutto, è necessario rivolgere lo sguardo a diverse realtà urbane, per confrontarne i problemi e le soluzioni adottate. Dal nostro esame emerge che, pur con tutte le differenze, le città europee affrontano problemi simili con strumenti e soluzioni simili, o comunque comparabili tra loro. Ci riferiamo in modo particolare ai contenuti convergenti alla scala continentale dei “piani strategici” (o Projets de ville) come visioni complessive di sviluppo delle città e dei “progetti urbani” come strumenti attuativi di quelle visioni e programmi generali.
Laddove inoltre le proposte e soluzioni innovative adottate localmente non sono ancora diffuse altrove, esse devono essere attentamente studiate per verificarne le possibilità di applicazione anche in altri contesti.
Il PRIMO “DOVERE” che risulta da queste considerazioni può essere definito un DOVERE DI CONOSCENZA, cioè di costante aggiornamento e confronto internazionali alla ricerca di risposte innovative a problemi comuni. Un dovere dato sovente per scontato che tuttavia non è ancora sufficientemente sentito come opportunità concreta dai professionisti del settore e soprattutto dai governanti eletti della pianificazione territoriale.
2. DOVERE ECOLOGICO. Il secondo convincimento è che si considera ormai conclusa la fase di espansione indiscriminata delle città e di consumo illimitato delle risorse ambientali. Le realtà esaminate cercano tutte, benché in maniere differenti, di ricondurre l’esplosione metropolitana degli ultimi decenni nei termini di nebulose riconoscibili, privilegiando il recupero e la trasformazione dell’esistente oppure l’espansione di tipo lineare o lineare-anulare, in stratta corrispondenza con i servizi di trasporto pubblico collettivo.
Attraverso il concetto di “densificazione” si cerca di restituire dignità urbana a tutte le attuali periferie e di reintrodurre nelle città ampie aree verdi, naturali o agricole. In questo senso, i “progetti urbani” si servono sovente, in forma congiunta, sia di trame urbane tradizionali produttive di “effetto città”, sia degli schemi desunti dalla modernità (Carta d’Atene) per un più stretto rapporto con il paesaggio. Inoltre, è soprattutto nella prossimità urbana che trovano l’utilizzazione più proficua le nuove tecnologie energetiche, come nel caso non solo del solare ma anche delle centrali di cogenerazione o nello sfruttamento dell’energia geotermica.
Un ruolo essenziale in questo contesto è giocato dalle reti del trasporto pubblico collettivo, che evolvono dal tipo quasi esclusivamente radiale dei decenni passati al tipo radiale-concentrico di oggi, in cui le aree di espansione periferica sono direttamente collegate tra loro. L’obiettivo non è solo quello di ridurre l’inquinamento e il traffico automobilistico ma anche quello di migliorare la qualità dello spazio pubblico privilegiando la mobilità alternativa , soprattutto pedonale e ciclabile.
Possiamo dunque definire il nostro SECONDO “DOVERE”, in termini generali, come DOVERE ECOLOGICO, tendente a ridurre il consumo di suolo e di risorse naturali per una migliore sostenibilità energetica e ambientale degli insediamenti.
3. DOVERE DI PROGETTARE LA COMPLESSITÀ. Il terzo convincimento riguarda il netto rifiuto dei vecchi concetti di “zoning” funzionale e sociale e di “tabula rasa”, considerati tra i principali responsabili della condizione di “periferia” in molti quartieri della città moderna. Oggi, viceversa, si riconosce la necessità di estendere a tutte le parti urbane adeguati caratteri di complessità altrimenti tipici dei centri storici, contrassegnati da ricchezza e commistione di funzioni e attività, stratificazione urbanistica e architettonica, alta densità informativa. Ciò corrisponde peraltro anche alle esigenze della sostenibilità ambientale – evocate al punto precedente – in quanto la prossimità di residenze e commerci, attività produttive compatibili e servizi per la collettività consente di svolgere molte pratiche sociali a piedi o in bicicletta, riducendo così anche il ricorso alle auto private.
Che si tratti di vecchie zone dismesse da ristrutturare o di quartieri da realizzare ex novo, l’obiettivo della complessità urbana può essere validamente perseguito solo alla scala ravvicinata del “progetto urbano”, attraverso un’attenta lettura dei caratteri naturali del sito e delle preesistenze antropiche. La necessità di concentrare in superfici relativamente ristrette funzioni molto diverse tra loro come attività urbane, residenze, spazi verdi e di loisir, attribuisce grande importanza allo spazio pubblico ai fini dell’articolazione e distribuzione delle differenze. In questo senso, il “progetto urbano” può essere definito come un costruttore di complessità, un edificatore di città.
Tale complessità risponde peraltro alla straordinaria diversificazione sociale della città contemporanea e ai diritti emergenti delle infinite categorie demografiche e socio-professionali che la popolano: dalle donne, agli anziani, ai bambini e ragazzi, fino alle minoranze civili ed etniche. A tutti l’urbanistica ha il dovere di offrire spazi adeguati, evitando tuttavia le ghettizzazioni, secondo il “principio etico” di Heinz von Foerster: «Agisci sempre in modo da aumentare il numero delle scelte»[ii].
Definiamo dunque il TERZO “DOVERE” come un DOVERE DI COMPLESSITÀ, o un DOVERE DI PROGETTARE LA COMPLESSITÀ.
4. DOVERE DI COMUNICAZIONE, PARTECIPAZIONE E GOVERNANCE. Il quarto convincimento è che, così stando le cose, il progetto della complessità è esso stesso un progetto complesso, popolato da molte voci, con una ricca geografia sociale [iii] oltre che fisica a cui fare riferimento. Il punto di vista degli abitanti della città, dei residenti dei quartieri oggetto di trasformazione e dei quartieri vicini è fondamentale per comporre correttamente la mappa sociale dei bisogni e degli interessi coinvolti ed offrire risposte pertinenti. La partecipazione dei cittadini comuni si rivela particolarmente preziosa soprattutto alla scala del “progetto urbano”, purché essa sia sollecitata in modo sincero da istituzioni credibili.
Più in generale, il carattere “controllato” dello sviluppo urbano contemporaneo lungo linee d’espansione e densificazione ben definite, obbliga a coordinare gli sforzi di molteplici attori e interessi verso obiettivi condivisi. Ciò può avvenire solo attraverso adeguate tecniche di comunicazione e governance in grado di conciliare le finalità spesso contrapposte di soggetti pubblici, privati e della società civile. Il progetto della complessità è dunque anche un progetto di composizione e mediazione d’interessi diversi, inclusi quelli più deboli o minoritari.
La comunicazione e partecipazione dei cittadini sono inoltre fondamentali per ottenere comportamenti orientati agli interessi generali della comunità e migliorare costantemente la qualità del funzionamento urbano. Ciò contribuisce anche al senso di consapevolezza e responsabilità dei cittadini.
Il QUARTO “DOVERE” è un DOVERE DI COMUNICAZIONE, PARTECIPAZIONE E GOVERNANCE.
5. DOVERE DI COESIONE, BELLEZZA E COMPETITIVITÀ URBANA. Il quinto convincimento è che la città deve essere bella e piacevole da vivere. Per la prima volta dopo decenni, la qualità dell’ambiente urbano non è più in conflitto con la competitività economica grazie alla rivoluzione terziaria e delle nuove tecnologie. È anzi proprio la qualità urbana il primo ingrediente del successo delle città come luoghi per investire, vivere, studiare e lavorare. Occorre tuttavia passare dalla filosofia del “troppo bello per essere possibile” a quella del “possibile proprio perché bello”[iv].
Qualità urbana e competitività economica, fenomeni oggi strettamente associati tra loro, spiegano in gran parte la crescita demografica di alcune città europee. Ricerche recenti dimostrano che l’aumento di popolazione e un più favorevole bilancio demografico (giovani su anziani) non è imputabile esclusivamente agli immigrati, pur numerosi, ma a condizioni di vita favorevoli per tutti[v]. Resta tuttavia essenziale per le città la capacità di assorbire e giovarsi delle diversità, favorendo sentimenti di coesione, tolleranza e relazionalità creativa in società sempre più variegate e multiculturali. A ciò contribuiscono occasioni di lavoro per tutti – non solo per i più istruiti – e servizi locali efficienti.
Ma c’è una ragione ulteriore per associare qualità urbana e coesione sociale. Riteniamo infatti che sia proprio la solidarietà tra le diverse categorie di cittadini, la migliore conoscenza reciproca e la partecipazione di tutti al governo delle città a costituire i fondamenti di una bellezza non asettica ma sostanziale e dinamica dell’ambiente urbano. Questo non vuol dire che a buoni progetti non debbano seguire eccellenti realizzazioni formali.
Il QUINTO “DOVERE” è allora un DOVERE DI COESIONE, BELLEZZA E COMPETITIVITÀ URBANA.
6. DOVERE DI BUONA AMMINISTRAZIONE. Il sesto convincimento conferma il ruolo insostituibile che gioca la pubblica amministrazione nella pianificazione urbanistica e nel governo del territorio. Tra i suoi compiti più importanti vi è infatti quello di individuare gli indirizzi fondamentali dello sviluppo futuro attraverso adeguate tecniche di comunicazione e confronto con gli stakeholders. Essa deve inoltre dare seguito a tali indirizzi, promuovendo il coordinamento pubblico-privato di molteplici soggetti – proprietari, imprenditori, professionisti e altre autorità – per la realizzazione delle infrastrutture e dei progetti urbani necessari. Le opere devono essere ultimate in tempi ragionevoli, di alta qualità e gestite successivamente con adeguate risorse ordinarie.
Per svolgere questi compiti, le istituzioni devono mostrarsi competenti e in grado di utilizzare nel modo migliore i fondi pubblici a loro disposizione. Il loro successo dipende in gran parte dalla credibilità di cui godono presso la pubblica opinione, dalla concretezza dell’azione condotta e dalla capacità di ascolto e reazione nei confronti dell’utenza per il costante miglioramento dei servizi resi.
Le istituzioni devono inoltre impegnarsi a rendere più chiare e flessibili le leggi che governano il territorio, rimanendo tuttavia inflessibili nel reprimere gli abusi edilizi e i danni all’ambiente. Altrettanto inflessibili devono essere nel promuovere al proprio interno il merito e la correttezza dei comportamenti amministrativi.
Il SESTO “DOVERE” è un DOVERE DI BUONA AMMINISTRAZIONE.
Occorre infine ricordare che un decalogo di “doveri” può essere esauriente ma mai esaustivo, dato il carattere sintetico e mutevole delle questioni ritenute prioritarie in un dato momento. Inoltre questi doveri, per produrre risultati concreti, più che nei codici di legge devono entrare nelle convinzioni diffuse e nelle pratiche quotidiane della società. Tale risultato può essere raggiunto solo contro forti interessi consolidati, e contro retaggi culturali difficili da superare. Tra questi, l’idea che la produzione di ricchezza debba necessariamente avvenire a danno di altri o dell’ambiente.
NOTE:
[i] Maurizio Russo, Projet de “Déclaration des devoirs des hommes“ et construction de la ville contemporaine. Quelques bonnes pratiques en Europe, “Le Carré Bleu“, feuille international d’architecture, in 3 lingue (francese, inglese, italiano), n. 3-4/2009, pp. 9-89.
http://www.lecarrebleu.eu/allegati/3-4%202009%20screen.pdf
[ii] Heinz von Foerster, Costruire una realtà (1973), in: Paul Watzlawick (a cura di), La realtà inventata. Contributi di costruttivismo, Feltrinelli, Milano, 1988, p. 55.
[iii] Maurizio Russo, Il ritorno degli esclusi. Progetti urbani e politiche pubbliche a Ginevra 1996-2000, “Area Vasta”, n. 10-11, 2005 :
http://www.areavasta.eu/av_2005n10e11/Osservatorio_europa_pag24_32.html
[iv] Eduardo Leira, Bilbao: una rivoluzione urbana, “Economia della cultura”, n. 4, 2006, p. 500.
[v] Mikko Myrskylä, Hans-Peter Kohler, Francesco C. Billari, Advances in Development Reverse Fertility Declines, “Nature”, n. 460 (7256), pp. 741-743; Rita Querzé, Cresce il benessere, nascono più bambini, “Corriere della Sera”, 6 agosto 2009, p. 11.