L'efficienza del trasporto pubblico locale è tra i principali indicatori dello stato di salute di una città. Il sistema della mobilità, in tutte le sue articolazioni, è essenziale per lo sviluppo economico del territorio, e risponde ad un diritto ormai riconosciuto come primario per tutti i cittadini. Di fronte alla sempre maggiore estensione delle aree urbane e metropolitane, alla diffusione delle attività produttive, commerciali e culturali, alla necessità di rendere tutti i quartieri simili per opportunità di connessione e crescita civile, il trasporto pubblico è la principale preoccupazione delle città centro e nord-europee, il biglietto da visita esposto ai turisti, ma anche un potente regolatore dei ritmi e del funzionamento urbano. È infine uno strumento in grado di imprimere qualità allo spazio pubblico e di dare una forma alla città, precorrendo e preparando le zone di intensificazione urbana.
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Alla fine del mio libro “Il progetto urbano nella città contemporanea” (Clean edizioni, 2011) indicavo sei principi o buoni “doveri” per la pianificazione urbana e territoriale delle città di oggi. Il libro è stato pubblicato nel 2011 ma ritengo quei principi ancora validi. Ecco quali sono:
Dal lavoro che precede sono tratti alcuni convincimenti sullo sviluppo e la pianificazione della città contemporanea, che su invito della rivista internazionale di architettura Le Carré Bleu [i] ho già formulato in termini di “doveri” – o “principî” – per gli urbanisti delle città di oggi. Sei doveri che nascono da altrettanti profondi convincimenti. 1. DOVERE DI CONOSCENZA. Anzitutto, è necessario rivolgere lo sguardo a diverse realtà urbane, per confrontarne i problemi e le soluzioni adottate. Dal nostro esame emerge che, pur con tutte le differenze, le città europee affrontano problemi simili con strumenti e soluzioni simili, o comunque comparabili tra loro. Ci riferiamo in modo particolare ai contenuti convergenti alla scala continentale dei “piani strategici” (o Projets de ville) come visioni complessive di sviluppo delle città e dei “progetti urbani” come strumenti attuativi di quelle visioni e programmi generali. Laddove inoltre le proposte e soluzioni innovative adottate localmente non sono ancora diffuse altrove, esse devono essere attentamente studiate per verificarne le possibilità di applicazione anche in altri contesti. Il PRIMO “DOVERE” che risulta da queste considerazioni può essere definito un DOVERE DI CONOSCENZA, cioè di costante aggiornamento e confronto internazionali alla ricerca di risposte innovative a problemi comuni. Un dovere dato sovente per scontato che tuttavia non è ancora sufficientemente sentito come opportunità concreta dai professionisti del settore e soprattutto dai governanti eletti della pianificazione territoriale. 2. DOVERE ECOLOGICO. Il secondo convincimento è che si considera ormai conclusa la fase di espansione indiscriminata delle città e di consumo illimitato delle risorse ambientali. Le realtà esaminate cercano tutte, benché in maniere differenti, di ricondurre l’esplosione metropolitana degli ultimi decenni nei termini di nebulose riconoscibili, privilegiando il recupero e la trasformazione dell’esistente oppure l’espansione di tipo lineare o lineare-anulare, in stratta corrispondenza con i servizi di trasporto pubblico collettivo. Attraverso il concetto di “densificazione” si cerca di restituire dignità urbana a tutte le attuali periferie e di reintrodurre nelle città ampie aree verdi, naturali o agricole. In questo senso, i “progetti urbani” si servono sovente, in forma congiunta, sia di trame urbane tradizionali produttive di “effetto città”, sia degli schemi desunti dalla modernità (Carta d’Atene) per un più stretto rapporto con il paesaggio. Inoltre, è soprattutto nella prossimità urbana che trovano l’utilizzazione più proficua le nuove tecnologie energetiche, come nel caso non solo del solare ma anche delle centrali di cogenerazione o nello sfruttamento dell’energia geotermica. Un ruolo essenziale in questo contesto è giocato dalle reti del trasporto pubblico collettivo, che evolvono dal tipo quasi esclusivamente radiale dei decenni passati al tipo radiale-concentrico di oggi, in cui le aree di espansione periferica sono direttamente collegate tra loro. L’obiettivo non è solo quello di ridurre l’inquinamento e il traffico automobilistico ma anche quello di migliorare la qualità dello spazio pubblico privilegiando la mobilità alternativa , soprattutto pedonale e ciclabile. Possiamo dunque definire il nostro SECONDO “DOVERE”, in termini generali, come DOVERE ECOLOGICO, tendente a ridurre il consumo di suolo e di risorse naturali per una migliore sostenibilità energetica e ambientale degli insediamenti. 3. DOVERE DI PROGETTARE LA COMPLESSITÀ. Il terzo convincimento riguarda il netto rifiuto dei vecchi concetti di “zoning” funzionale e sociale e di “tabula rasa”, considerati tra i principali responsabili della condizione di “periferia” in molti quartieri della città moderna. Oggi, viceversa, si riconosce la necessità di estendere a tutte le parti urbane adeguati caratteri di complessità altrimenti tipici dei centri storici, contrassegnati da ricchezza e commistione di funzioni e attività, stratificazione urbanistica e architettonica, alta densità informativa. Ciò corrisponde peraltro anche alle esigenze della sostenibilità ambientale – evocate al punto precedente – in quanto la prossimità di residenze e commerci, attività produttive compatibili e servizi per la collettività consente di svolgere molte pratiche sociali a piedi o in bicicletta, riducendo così anche il ricorso alle auto private. Che si tratti di vecchie zone dismesse da ristrutturare o di quartieri da realizzare ex novo, l’obiettivo della complessità urbana può essere validamente perseguito solo alla scala ravvicinata del “progetto urbano”, attraverso un’attenta lettura dei caratteri naturali del sito e delle preesistenze antropiche. La necessità di concentrare in superfici relativamente ristrette funzioni molto diverse tra loro come attività urbane, residenze, spazi verdi e di loisir, attribuisce grande importanza allo spazio pubblico ai fini dell’articolazione e distribuzione delle differenze. In questo senso, il “progetto urbano” può essere definito come un costruttore di complessità, un edificatore di città. Tale complessità risponde peraltro alla straordinaria diversificazione sociale della città contemporanea e ai diritti emergenti delle infinite categorie demografiche e socio-professionali che la popolano: dalle donne, agli anziani, ai bambini e ragazzi, fino alle minoranze civili ed etniche. A tutti l’urbanistica ha il dovere di offrire spazi adeguati, evitando tuttavia le ghettizzazioni, secondo il “principio etico” di Heinz von Foerster: «Agisci sempre in modo da aumentare il numero delle scelte»[ii]. Definiamo dunque il TERZO “DOVERE” come un DOVERE DI COMPLESSITÀ, o un DOVERE DI PROGETTARE LA COMPLESSITÀ. 4. DOVERE DI COMUNICAZIONE, PARTECIPAZIONE E GOVERNANCE. Il quarto convincimento è che, così stando le cose, il progetto della complessità è esso stesso un progetto complesso, popolato da molte voci, con una ricca geografia sociale [iii] oltre che fisica a cui fare riferimento. Il punto di vista degli abitanti della città, dei residenti dei quartieri oggetto di trasformazione e dei quartieri vicini è fondamentale per comporre correttamente la mappa sociale dei bisogni e degli interessi coinvolti ed offrire risposte pertinenti. La partecipazione dei cittadini comuni si rivela particolarmente preziosa soprattutto alla scala del “progetto urbano”, purché essa sia sollecitata in modo sincero da istituzioni credibili. Più in generale, il carattere “controllato” dello sviluppo urbano contemporaneo lungo linee d’espansione e densificazione ben definite, obbliga a coordinare gli sforzi di molteplici attori e interessi verso obiettivi condivisi. Ciò può avvenire solo attraverso adeguate tecniche di comunicazione e governance in grado di conciliare le finalità spesso contrapposte di soggetti pubblici, privati e della società civile. Il progetto della complessità è dunque anche un progetto di composizione e mediazione d’interessi diversi, inclusi quelli più deboli o minoritari. La comunicazione e partecipazione dei cittadini sono inoltre fondamentali per ottenere comportamenti orientati agli interessi generali della comunità e migliorare costantemente la qualità del funzionamento urbano. Ciò contribuisce anche al senso di consapevolezza e responsabilità dei cittadini. Il QUARTO “DOVERE” è un DOVERE DI COMUNICAZIONE, PARTECIPAZIONE E GOVERNANCE. 5. DOVERE DI COESIONE, BELLEZZA E COMPETITIVITÀ URBANA. Il quinto convincimento è che la città deve essere bella e piacevole da vivere. Per la prima volta dopo decenni, la qualità dell’ambiente urbano non è più in conflitto con la competitività economica grazie alla rivoluzione terziaria e delle nuove tecnologie. È anzi proprio la qualità urbana il primo ingrediente del successo delle città come luoghi per investire, vivere, studiare e lavorare. Occorre tuttavia passare dalla filosofia del “troppo bello per essere possibile” a quella del “possibile proprio perché bello”[iv]. Qualità urbana e competitività economica, fenomeni oggi strettamente associati tra loro, spiegano in gran parte la crescita demografica di alcune città europee. Ricerche recenti dimostrano che l’aumento di popolazione e un più favorevole bilancio demografico (giovani su anziani) non è imputabile esclusivamente agli immigrati, pur numerosi, ma a condizioni di vita favorevoli per tutti[v]. Resta tuttavia essenziale per le città la capacità di assorbire e giovarsi delle diversità, favorendo sentimenti di coesione, tolleranza e relazionalità creativa in società sempre più variegate e multiculturali. A ciò contribuiscono occasioni di lavoro per tutti – non solo per i più istruiti – e servizi locali efficienti. Ma c’è una ragione ulteriore per associare qualità urbana e coesione sociale. Riteniamo infatti che sia proprio la solidarietà tra le diverse categorie di cittadini, la migliore conoscenza reciproca e la partecipazione di tutti al governo delle città a costituire i fondamenti di una bellezza non asettica ma sostanziale e dinamica dell’ambiente urbano. Questo non vuol dire che a buoni progetti non debbano seguire eccellenti realizzazioni formali. Il QUINTO “DOVERE” è allora un DOVERE DI COESIONE, BELLEZZA E COMPETITIVITÀ URBANA. 6. DOVERE DI BUONA AMMINISTRAZIONE. Il sesto convincimento conferma il ruolo insostituibile che gioca la pubblica amministrazione nella pianificazione urbanistica e nel governo del territorio. Tra i suoi compiti più importanti vi è infatti quello di individuare gli indirizzi fondamentali dello sviluppo futuro attraverso adeguate tecniche di comunicazione e confronto con gli stakeholders. Essa deve inoltre dare seguito a tali indirizzi, promuovendo il coordinamento pubblico-privato di molteplici soggetti – proprietari, imprenditori, professionisti e altre autorità – per la realizzazione delle infrastrutture e dei progetti urbani necessari. Le opere devono essere ultimate in tempi ragionevoli, di alta qualità e gestite successivamente con adeguate risorse ordinarie. Per svolgere questi compiti, le istituzioni devono mostrarsi competenti e in grado di utilizzare nel modo migliore i fondi pubblici a loro disposizione. Il loro successo dipende in gran parte dalla credibilità di cui godono presso la pubblica opinione, dalla concretezza dell’azione condotta e dalla capacità di ascolto e reazione nei confronti dell’utenza per il costante miglioramento dei servizi resi. Le istituzioni devono inoltre impegnarsi a rendere più chiare e flessibili le leggi che governano il territorio, rimanendo tuttavia inflessibili nel reprimere gli abusi edilizi e i danni all’ambiente. Altrettanto inflessibili devono essere nel promuovere al proprio interno il merito e la correttezza dei comportamenti amministrativi. Il SESTO “DOVERE” è un DOVERE DI BUONA AMMINISTRAZIONE. Occorre infine ricordare che un decalogo di “doveri” può essere esauriente ma mai esaustivo, dato il carattere sintetico e mutevole delle questioni ritenute prioritarie in un dato momento. Inoltre questi doveri, per produrre risultati concreti, più che nei codici di legge devono entrare nelle convinzioni diffuse e nelle pratiche quotidiane della società. Tale risultato può essere raggiunto solo contro forti interessi consolidati, e contro retaggi culturali difficili da superare. Tra questi, l’idea che la produzione di ricchezza debba necessariamente avvenire a danno di altri o dell’ambiente. NOTE: [i] Maurizio Russo, Projet de “Déclaration des devoirs des hommes“ et construction de la ville contemporaine. Quelques bonnes pratiques en Europe, “Le Carré Bleu“, feuille international d’architecture, in 3 lingue (francese, inglese, italiano), n. 3-4/2009, pp. 9-89. http://www.lecarrebleu.eu/allegati/3-4%202009%20screen.pdf [ii] Heinz von Foerster, Costruire una realtà (1973), in: Paul Watzlawick (a cura di), La realtà inventata. Contributi di costruttivismo, Feltrinelli, Milano, 1988, p. 55. [iii] Maurizio Russo, Il ritorno degli esclusi. Progetti urbani e politiche pubbliche a Ginevra 1996-2000, “Area Vasta”, n. 10-11, 2005 : http://www.areavasta.eu/av_2005n10e11/Osservatorio_europa_pag24_32.html [iv] Eduardo Leira, Bilbao: una rivoluzione urbana, “Economia della cultura”, n. 4, 2006, p. 500. [v] Mikko Myrskylä, Hans-Peter Kohler, Francesco C. Billari, Advances in Development Reverse Fertility Declines, “Nature”, n. 460 (7256), pp. 741-743; Rita Querzé, Cresce il benessere, nascono più bambini, “Corriere della Sera”, 6 agosto 2009, p. 11. Questo articolo di Lucio Caracciolo apparso oggi lunedì 9 maggio su Repubblica, nella sua ultima parte corrisponde perfettamente al programma del Movimento 5 Stelle per il Comune di Napoli.
QUALITA' URBANA, LIBERARE LE ENERGIE DEL CENTRO E DELLE PERIFERIE. No alla cura dei soli contenitori (URBS), Sì alla centralità di persone e relazioni (CIVITAS) per una città più equa sostenibile e solidale. 1. SICUREZZA. Presidio del territorio, più forze dell’ordine presenti e visibili. Illuminazione adeguate in tutte le zone del c.s. Video-sorveglianza. Problema ausiliari. Formazione e riqualificazione della polizia municipale. 2. ARTE CARD gratuita e di diritto per i residenti, in qualità di “custodi” dei beni presenti. 3. SENSO CIVICO. CiviPedia da elaborare con la collaborazione dei cittadini. Progetti di educazione dei ragazzi nelle scuole (energia, ambiente, riciclo, antichi mestieri…) Apertura delle scuole ai territorio extra-orario. 4. RIVITALIZZAZIONE DEI RIONI E QUARTIERI. Festival dei rioni. Uso dello spazio con attività per tutti, antichi mestieri e tradizioni, storia, giochi, cucina, musica, arte. Identità, autoriconoscimento. 5. DECORO URBANO. Restauro edifici e adeguamento energetico, in primis degli immobili pubblici; pulizia strade e piazze e lotta al vandalismo; bonifica da tutto quanto improprio. Legalità. 6. UN’OASI FELICE IN OGNI QUARTIERE. Piccoli interventi di riqualificazione urbana con materiali riciclati con l’aiuto di giovani architetti. AUTOCOSTRUZIONE. 7. ELENCO DEGLI IMMOBILI PUBBLICI PER I CITTADINI ED ASSOCIAZIONI/VOLONTARIATO. Statuto degli spazi, regole di assegnazione. CASE DEL QUARTIERE: rimettere al centro le persone e le relazioni. 8. ATTIVAZIONE VOLONTARIATO A TUTTI I LIVELLI PROFESSIONALI e PROMOZIONE DELLA CITTADINANZA ATTIVA, per integrare i servizi sociali. REDDITO DI CITTADINANZA. 9. SBUROCRATIZZAZIONE DELLE ATTIVITA’ ECONOMICHE, SMART CITY. WI-FI LIBERO. Censimento degli antichi mestieri. 10. COMUNICAZIONE E PARTECIPAZIONE: assemblea mensile, blog interattivo, PRONTO ASCOLTO E PRONTO INTERVENTO, centro di informazione pubblica (CIP) 11. restauro monumenti e percorsi delle eccellenze IN FUNZIONE TURISTICA. 12. MOBILITA’, TPL, ZTL 13. RILANCIO DEL CENTRO STORICO DI NAPOLI COME PATRIMONIO DELL’UMANITA’ UNESCO TESTO APPARSO SU REPUBBLICA NAPOLI IL 28.11.2014
Il decreto "Sblocca Italia" appena convertito in legge al Senato con le modifiche apportate dalla Camera, nella parte relativa alla riqualificazione di Bagnoli, consente al Comune di Napoli di presentare proposte consultive per il programma di rigenerazione urbana da attuare nell'area. Si tratta evidentemente di un ruolo molto modesto riservato al Comune, che rende assai debole la posizione dell'amministrazione e dei cittadini napoletani nelle scelte che saranno poste in essere per il futuro di una parte strategica della città e dell'area metropolitana. Debolezza aggravata dal fatto che non è stata elaborata nel tempo un'immagine forte e condivisa delle scelte concrete da compiere finalmente per l'area di Coroglio. Questo limite di confronto, il non aver maturato in modo diffuso e consensuale una visione di futuro per questa parte della città, pesa oggi come un macigno di fronte al precipitare delle procedure e dei tempi di intervento prefigurati dal decreto (ora legge) Sblocca Italia. Il rischio è che i napoletani - e le istituzioni che li rappresentano - siano non solo espropriati del ruolo di primi attori della trasformazione, ma anche della possibilità di incidere sul progetto che sarà realizzato. Sarebbe dunque opportuno mettere in campo quanto prima un evento di comunicazione e consultazione per chiedere ai napoletani cosa desiderano si faccia a Bagnoli, di deciderlo a maggioranza e di far valere questa volontà con il Governo nell'applicazione del decreto convertito. Ciò consentirebbe anche di dare una guida alle bonifiche preliminari da realizzare e alla progettualità diffusa espressa da associazioni e società civile, già fortemente attiva. Dunque, quali contenuti urbani e quali caratteri imprimere alla riqualificazione di Bagnoli? Non c'è dubbio che uno dei gravi limiti di gestione politico-urbanistica della vicenda ex Ilva, in questi vent'anni, è stata l'impostazione tecnicistica e verticistica delle modalità di intervento, quasi sempre relegate nei termini astratti delle misure, degli indici e dei parametri ammessi dal piano regolatore - discussione incomprensibile ai più - e mai affrontate dal punto di vista delle esigenze urbane, ed eventualmente metropolitane, che a Bagnoli possono trovare una risposta. Per dare la parola ai napoletani è tuttavia necessario provare prima a chiarire quali siano le principali opzioni in campo, per semplificare il più possibile il quadro delle alternative tra cui scegliere. Tra le varie ipotesi di cui si è discusso in questi anni, e che appare oggi pienamente acquisita, vi è l'idea di un equilibrio di funzioni diverse per Bagnoli, ovvero di non creare un nuovo quartiere monofunzionale ma un ambiente ricco di stimoli e attività differenti, e che possa vivere per tutto l'arco della giornata. Ciò è giustificato da quanto già esiste: patrimonio culturale e paesaggistico, tradizione produttiva, servizi terziari e ricerca, attività per lo svago e il tempo libero, residenze. Questo tipo di mix funzionale consente di attirare molte fasce diverse di utenti (mezzi di trasporto permettendo), mentre un quartiere esclusivamente residenziale - da alcuni proposto - sarebbe sostanzialmente di chi vi risiede. L'equilibrio tra le diverse funzioni, compreso un parco a carattere tecnico scientifico (per esempio in collaborazione con l'Orto Botanico, la facoltà di Agraria, o il volontariato degli orti e giardini urbani) può essere risolto solo alla scala fine del progetto urbano, ma può comunque essere oggetto di configurazioni di massima. L'altra ipotesi su cui si è costruito nel tempo un certo consenso in città è quella di restituire la spiaggia ai napoletani ricostituendo l'intera linea di costa, richiesta sostenuta da migliaia di firme e fatta propria dall'amministrazione. L'alternativa a questa ipotesi, presente anche nella variante vigente, è di affiancare ad una parte di spiaggia recuperata, un progetto di portualità turistica, anche nella forma di polo di eccellenza della nautica da diporto, in particolare della vela, con relative strutture e servizi di accoglienza e approdo. Le due ipotesi non sono equivalenti anche per una ragione molto specifica: la prima implica la rimozione della colmata (preferibile in ogni caso), probabilmente non necessaria nella seconda ipotesi (polo della vela). I napoletani potrebbero pronunciarsi su questo, sapendo che le due scelte modificano le condizioni di equilibrio economico-finanziario per la riqualificazione complessiva dell'area. Che cosa preferiscono i napoletani? L'amministrazione comunale potrebbe convocare in tempi brevi un "consultazione popolare", ai sensi dell'articolo 19 dello statuto comunale, preparando la consultazione con masterplan alternativi (accompagnati da preventivi di fattibilità), esposti al pubblico e al dibattito affinché ciascuno possa formarsi un'idea e scegliere. Difficilmente il commissario e il soggetto attuatore che saranno nominati dal Governo potrebbero impunemente ignorare una proposta del comune di Napoli - benché consultiva - che goda del consenso della maggioranza dei napoletani. Contributo sull'avvento della Città Metropolitana pubblicato da Repubblica - cronaca di Napoli l'8.8.2014 (p. XI)
Dopo i cortei molto partecipati che hanno attraversato la Terra dei Fuochi nelle scorse settimane e la manifestazione di sabato 26 ottobre a Napoli, mentre si prepara sempre a Napoli il nuovo atteso appuntamento di piazza del 16 novembre, si avverte fortemente l'esigenza di superare le divisioni e di cominciare a ragionare in termini di proposta oltre che di protesta.
Anzitutto, non bisogna mancare l'obiettivo di portare al centro dell'attenzione nazionale questa devastante tragedia ambientale e umana degli sversamenti di rifiuti di tutti i tipi e roghi tossici quotidiani in quella che un tempo fu Campania Felix. In questo senso tutti indistintamente abbiamo il dovere di non restare indifferenti, di dire basta e di pretendere una soluzione convincente del problema. Da più parti si è sottolineato che procedere in ordine sparso, con provvedimenti estemporanei e non coordinati, non aiuti nella ricerca di soluzioni adeguate ad un problema così complesso. Occorre quindi affrontare la questione da diversi punti di vista, simultaneamente, e con l'aiuto dei molteplici soggetti che hanno studiato e combattuto in questi anni lo scempio perpetrato in Campania. Su alcuni punti essenziali esiste oggi un'ampia convergenza tra associazioni, comitati, esperti e cittadini informati, che oggi non possono più essere ignorati, e a cui anzi deve essere consentito di esercitare forme di controllo e verifica sulle azioni da intraprendere. Ecco i punti. 1. Propedeutica a qualsiasi altra iniziativa è la necessità di fermare immediatamente gli sversamenti abusivi e i roghi. Per riuscire in questo intento è indispensabile un efficace sistema di monitoraggio del territorio, costituito da uomini e tecnologie. Queste ultime possono essere satellitari combinate con altre più tradizionali, come le segnalazioni dei cittadini attraverso software dedicati o numero verde, una rete intelligente di video-sorveglianza, e soprattutto l'osservazione diretta e itinerante da parte di chi è poi tenuto ad intervenire. 2. Il monitoraggio servirebbe a poco senza una forza di pronto intervento in grado di raccogliere le segnalazioni e di agire immediatamente, con i poteri di arrestare i responsabili, fermare gli sversamenti, spegnere i roghi, rimuovere i resti e mettere in sicurezza le aree colpite, prima delle eventuali bonifiche. Potrebbe trattarsi di una direzione inter-forze, cioè del coordinamento dei corpi di polizia e pronto intervento esistenti (vigili del fuoco, protezione civile, guardia forestale). Ma meglio sarebbe la costituzione di una task force specificamente dedicata ai compiti di prevenzione, interdizione e repressione richiesti dalla Terra dei Fuochi, con poteri, mezzi e personale adeguati. 3. Il fenomeno dello sversamento illecito di rifiuti non è alimentato solo dalla criminalità organizzata ma anche da quanti, singoli o aziende, preferiscono scaricare ai margini delle strade o nelle campagne i loro rifiuti urbani o speciali, come residui edilizi, pneumatici o scarti di lavorazioni industriali. È dunque necessario rafforzare tutte le misure volte a incentivare lo smaltimento a impianti autorizzati, azzerando i costi e le formalità richieste per i conferimenti. Nello stesso senso va anche la perfetta efficienza della rete di raccolta e depurazione dei reflui agricoli, urbani e industriali. 4. Il trattamento dei siti inquinati deve essere verificato caso per caso. Se in molti di essi è sufficiente la rimozione dei rifiuti o dei resti dei roghi, in altri è necessario andare molto più in profondità e procedere a vere e proprie bonifiche. È opinione diffusa che in alcuni casi neanche le bonifiche siano più possibili e si possa solo cercare di mettere in sicurezza il territorio. Per effettuare queste valutazioni è necessario anzitutto disporre di una mappa aggiornata dei siti pericolosi ed effettuare le opportune analisi per accertare gli inquinanti presenti e con quali tecniche intervenire in tempi rapidi (laddove invece oggi le "caratterizzazioni" richiedono spesso tempi lunghissimi). La distinzione tra operazioni leggere e bonifiche più complesse, ma anche la gestione tecnica e amministrativa di queste ultime, deve essere posta in capo ad un soggetto di assoluto rigore scientifico e morale. Per quanto invece riguarda il reperimento dei fondi, deve valere il principio del "chi inquina paga", quindi i risarcimenti dei responsabili e i beni confiscati alla criminalità organizzata. 5. Nelle bonifiche sono adottate le tecniche più innovative di bio-remediation e di ripristino ecologico dei suoli e delle falde. Se non è possibile ritornare subito alle coltivazioni per usi alimentari si possono prevedere colture alternative (ad esclusione delle biomasse combustibili) che continuano l'opera di depurazione, come la canapa, il floro-vivaismo o la pura sistemazione paesaggistica. Ciò anche con la collaborazione della facoltà di Agraria di Portici e con incentivi agli agricoltori. 6. Il significativo aumento delle patologie tumorali e delle malattie di origine o concausa ambientale richiede la messa in campo, da parte delle autorità sanitarie nazionali e locali, di sostanziose misure per la conoscenza, la prevenzione e la cura delle popolazioni più esposte all'inquinamento di terra, acqua e aria nella Terra dei Fuochi: analisi epidemiologiche costanti per verificare le patologie in crescita; screening preventivo di massa e supporto sanitario specifico alle popolazioni interessate; analisi ed eventuale divieto di cibi prodotti in determinate aree; altre azioni di contenimento del danno. 7. Trasformare le azioni contro l'ambiente da illeciti amministrativi in reati penali è un'altra delle misure indispensabili da intraprendere. Il ministero dell'Ambiente ha preparato un provvedimento di legge che prevede pene da 2 a 5 anni per chi scarica rifiuti in luoghi non autorizzati (anche un frigorifero), e da 3 a 6 anni se si tratta di rifiuti pericolosi. Sono inoltre disposti il sequestro dei mezzi di trasporto e delle aree interessate se appartenenti all'autore del reato, con obblighi di bonifica e ripristino dello stato dei luoghi. La norma è prevista per una durata biennale solo in Campania: non bisogna ritenerla sufficiente da sola a stroncare i fenomeni di sversamenti e roghi senza adeguati strumenti di sorveglianza e pronto intervento. 8. Non vi può essere pieno successo delle iniziative per la Terra dei Fuochi - bisogna comprenderlo con chiarezza - senza la partecipazione attiva delle popolazioni interessate e di tutti i cittadini della Campania. Anzitutto, ampia e comprensibile informazione sulle attività messe in campo, ma soprattutto predisposizione di forme di accesso e verifica costante da parte dei cittadini sulle procedure, le azioni e i risultati raggiunti. Altre iniziative di sensibilizzazione ambientale dei giovani e di promozione dell'industria locale in un distretto eco-sostenibile per il recupero totale della materia sarebbero ugualmente importanti. I punti che precedono possono essere oggetto di provvedimenti separati ma meglio sarebbe se fossero affrontati tutti insieme con una legge-quadro (non una legge speciale) per un programma almeno decennale di interventi. Anche questo gioverebbe alla chiarezza e alla credibilità complessiva di quanto c'è da fare. Merita una riflessione critica l'articolo di Antonio Galdo sul Mattino di ieri, 19 agosto 2013.
Nel ricordare l'ennesima ULTIMA occasione storica per il Sud rappresentata dai 100 miliardi di euro (200.000 miliardi di vecchie lire !) della nuova programmazione comunitaria 2014-2020 (compreso il cofinanziamento statale obbligatorio), Galdo indica cinque settori strategici in cui concentrare prioritariamente tali risorse: infrastrutture, industria manifatturiera, turismo e beni culturali, agricoltura e riqualificazione urbanistica. Se su questi 5 settori si potrebbe anche essere d'accordo, destano invece notevoli perplessità i progetti specifici suggeriti per ognuno di essi. Tra le infrastrutture da realizzare prioritariamente, Galdo cita la banda larga e la linea ferroviaria dell'alta velocità da Napoli a Bari. Cominciamo da quest'ultima. Secondo l'autore dell'articolo, l'AV Napoli-Bari consentirebbe di "spostare una quota significativa del traffico di uomini e merci dall'insicura e ingolfata rete autostradale al trasporto su ferro. Una spinta molto forte per il turismo, oggi penalizzato dalla povertà delle alternative all'auto, e per le esportazioni delle piccole e medie imprese". Fermo restando che è sempre auspicabile uno spostamento del traffico dalla gomma al ferro, e tralasciando che l'autostrada Napoli-Bari non appare così ingolfata e insicura, la vera domanda è la seguente: siamo sicuri che la risposta ai problemi del turismo e delle esportazioni delle imprese locali sia quella dell'alta velocità? O non piuttosto quella della riorganizzazione e del rilancio delle ferrovie regionali, che almeno in Campania sono al disastro? Del resto, come lo stesso Galdo osserva affrontando più specificamente il settore turismo e beni culturali, c'è una crescente domanda di turismo da parte dei paesi (ex) emergenti "che le regioni meridionali non riescono ad intercettare. Abbiamo i luoghi, l'ambiente, i monumenti: manca l'organizzazione in grado di valorizzarli". E fa l'esempio di Pompei, che dovrebbe essere oggetto di finanziamenti europei molto più sostanziosi: ma se non c'è un treno decente, puntuale e sicuro che garantisce i collegamenti da Napoli quale incremento turistico vi potrà mai essere? Non è tanto l'alta velocità da Napoli a Bari, ma sono i collegamenti regionali, la loro buona organizzazione sistemica, l'aggiornamento costante di linee, uomini e materiali a rappresentare il vero biglietto da visita di un territorio nei confronti del turismo internazionale, e soprattutto il suo grado di civiltà verso gli utenti e pendolari che vi risiedono. Se ancora si pensa che sviluppo turistico e qualità della vita dei residenti viaggiano su binari diversi, siamo davvero fuori strada. Tanto più che, affrontando il tema dell'agricoltura, Galdo scrive: "Dopo anni di abbandono delle terre, utilizzate per una capillare speculazione edilizia, c'è un fenomeno di ritorno alla campagna, ai prodotti locali, alle eccellenze del territorio (...) Tutto ciò deve diventare un sistema riconoscibile per la qualità e l'unicità dei prodotti". Anche su questo è evidentemente decisivo un buon trasporto regionale, sia per il movimento dei prodotti tipici locali verso i mercati, sia anche per il movimento opposto dei cittadini e dei turisti verso le mete eno-gastronomiche e rurali, che in Campania non mancano. Purché tuttavia non si dimentichi che oggi il marchio Campania è fortemente penalizzato dalla catastrofe degli sversamenti di rifiuti di ogni genere e dai roghi tossici che ricadono sulle campagne della ex Campania felix (da cui proviene peraltro in gran parte il vanto della mozzarella di bufala). Non vi potrà dunque mai essere vero brand Campania, senza la bonifica, il controllo e il riscatto dei territori colpiti da questa catastrofe. Un'ultima riflessione riguarda l'industria manifatturiera e la riqualificazione urbanistica. La Campania non può competere con la Cina in "produzioni a basso e medio tasso di conoscenza aggiunto", ma dovrebbe puntare ad un forte raccordo tra ricerca scientifica e sviluppo delle imprese, per competere non sul costo del lavoro ma sulle innovazioni di processo e di prodotto. Ciò costituirebbe peraltro occasione di riqualificazione urbana, spingendo a creare nelle città ambienti favorevoli alla produzione di nuove idee, beni e servizi per uno sviluppo sostenibile. Quest'ultimo basato su due elementi fondamentali (e ritorniamo così al punto di partenza): qualità ambientale e mobilità collettiva efficiente. Quanto infine alla banda larga, se ne parla da anni e dovrebbe costare una fortuna, ma qual è il suo vero significato? Consentirebbe di abbattere i costi delle connessioni - estendendo il wifi gratuito a tutta la regione - oppure sarebbe un regalo alle compagnie telefoniche? Prima di pensare al "digital divide" delle zone interne rispetto a quelle metropolitane, non sarebbe il caso di pensare a fermarne il progressivo svuotamento e a rilanciarne le economie? |
AutoreMaurizio Russo TUTTI I POST
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