Merita una riflessione critica l'articolo di Antonio Galdo sul Mattino di ieri, 19 agosto 2013.
Nel ricordare l'ennesima ULTIMA occasione storica per il Sud rappresentata dai 100 miliardi di euro (200.000 miliardi di vecchie lire !) della nuova programmazione comunitaria 2014-2020 (compreso il cofinanziamento statale obbligatorio), Galdo indica cinque settori strategici in cui concentrare prioritariamente tali risorse: infrastrutture, industria manifatturiera, turismo e beni culturali, agricoltura e riqualificazione urbanistica.
Se su questi 5 settori si potrebbe anche essere d'accordo, destano invece notevoli perplessità i progetti specifici suggeriti per ognuno di essi. Tra le infrastrutture da realizzare prioritariamente, Galdo cita la banda larga e la linea ferroviaria dell'alta velocità da Napoli a Bari. Cominciamo da quest'ultima.
Secondo l'autore dell'articolo, l'AV Napoli-Bari consentirebbe di "spostare una quota significativa del traffico di uomini e merci dall'insicura e ingolfata rete autostradale al trasporto su ferro. Una spinta molto forte per il turismo, oggi penalizzato dalla povertà delle alternative all'auto, e per le esportazioni delle piccole e medie imprese". Fermo restando che è sempre auspicabile uno spostamento del traffico dalla gomma al ferro, e tralasciando che l'autostrada Napoli-Bari non appare così ingolfata e insicura, la vera domanda è la seguente: siamo sicuri che la risposta ai problemi del turismo e delle esportazioni delle imprese locali sia quella dell'alta velocità? O non piuttosto quella della riorganizzazione e del rilancio delle ferrovie regionali, che almeno in Campania sono al disastro?
Del resto, come lo stesso Galdo osserva affrontando più specificamente il settore turismo e beni culturali, c'è una crescente domanda di turismo da parte dei paesi (ex) emergenti "che le regioni meridionali non riescono ad intercettare. Abbiamo i luoghi, l'ambiente, i monumenti: manca l'organizzazione in grado di valorizzarli". E fa l'esempio di Pompei, che dovrebbe essere oggetto di finanziamenti europei molto più sostanziosi: ma se non c'è un treno decente, puntuale e sicuro che garantisce i collegamenti da Napoli quale incremento turistico vi potrà mai essere?
Non è tanto l'alta velocità da Napoli a Bari, ma sono i collegamenti regionali, la loro buona organizzazione sistemica, l'aggiornamento costante di linee, uomini e materiali a rappresentare il vero biglietto da visita di un territorio nei confronti del turismo internazionale, e soprattutto il suo grado di civiltà verso gli utenti e pendolari che vi risiedono. Se ancora si pensa che sviluppo turistico e qualità della vita dei residenti viaggiano su binari diversi, siamo davvero fuori strada.
Tanto più che, affrontando il tema dell'agricoltura, Galdo scrive: "Dopo anni di abbandono delle terre, utilizzate per una capillare speculazione edilizia, c'è un fenomeno di ritorno alla campagna, ai prodotti locali, alle eccellenze del territorio (...) Tutto ciò deve diventare un sistema riconoscibile per la qualità e l'unicità dei prodotti". Anche su questo è evidentemente decisivo un buon trasporto regionale, sia per il movimento dei prodotti tipici locali verso i mercati, sia anche per il movimento opposto dei cittadini e dei turisti verso le mete eno-gastronomiche e rurali, che in Campania non mancano. Purché tuttavia non si dimentichi che oggi il marchio Campania è fortemente penalizzato dalla catastrofe degli sversamenti di rifiuti di ogni genere e dai roghi tossici che ricadono sulle campagne della ex Campania felix (da cui proviene peraltro in gran parte il vanto della mozzarella di bufala). Non vi potrà dunque mai essere vero brand Campania, senza la bonifica, il controllo e il riscatto dei territori colpiti da questa catastrofe.
Un'ultima riflessione riguarda l'industria manifatturiera e la riqualificazione urbanistica. La Campania non può competere con la Cina in "produzioni a basso e medio tasso di conoscenza aggiunto", ma dovrebbe puntare ad un forte raccordo tra ricerca scientifica e sviluppo delle imprese, per competere non sul costo del lavoro ma sulle innovazioni di processo e di prodotto. Ciò costituirebbe peraltro occasione di riqualificazione urbana, spingendo a creare nelle città ambienti favorevoli alla produzione di nuove idee, beni e servizi per uno sviluppo sostenibile. Quest'ultimo basato su due elementi fondamentali (e ritorniamo così al punto di partenza): qualità ambientale e mobilità collettiva efficiente.
Quanto infine alla banda larga, se ne parla da anni e dovrebbe costare una fortuna, ma qual è il suo vero significato? Consentirebbe di abbattere i costi delle connessioni - estendendo il wifi gratuito a tutta la regione - oppure sarebbe un regalo alle compagnie telefoniche? Prima di pensare al "digital divide" delle zone interne rispetto a quelle metropolitane, non sarebbe il caso di pensare a fermarne il progressivo svuotamento e a rilanciarne le economie?
Nel ricordare l'ennesima ULTIMA occasione storica per il Sud rappresentata dai 100 miliardi di euro (200.000 miliardi di vecchie lire !) della nuova programmazione comunitaria 2014-2020 (compreso il cofinanziamento statale obbligatorio), Galdo indica cinque settori strategici in cui concentrare prioritariamente tali risorse: infrastrutture, industria manifatturiera, turismo e beni culturali, agricoltura e riqualificazione urbanistica.
Se su questi 5 settori si potrebbe anche essere d'accordo, destano invece notevoli perplessità i progetti specifici suggeriti per ognuno di essi. Tra le infrastrutture da realizzare prioritariamente, Galdo cita la banda larga e la linea ferroviaria dell'alta velocità da Napoli a Bari. Cominciamo da quest'ultima.
Secondo l'autore dell'articolo, l'AV Napoli-Bari consentirebbe di "spostare una quota significativa del traffico di uomini e merci dall'insicura e ingolfata rete autostradale al trasporto su ferro. Una spinta molto forte per il turismo, oggi penalizzato dalla povertà delle alternative all'auto, e per le esportazioni delle piccole e medie imprese". Fermo restando che è sempre auspicabile uno spostamento del traffico dalla gomma al ferro, e tralasciando che l'autostrada Napoli-Bari non appare così ingolfata e insicura, la vera domanda è la seguente: siamo sicuri che la risposta ai problemi del turismo e delle esportazioni delle imprese locali sia quella dell'alta velocità? O non piuttosto quella della riorganizzazione e del rilancio delle ferrovie regionali, che almeno in Campania sono al disastro?
Del resto, come lo stesso Galdo osserva affrontando più specificamente il settore turismo e beni culturali, c'è una crescente domanda di turismo da parte dei paesi (ex) emergenti "che le regioni meridionali non riescono ad intercettare. Abbiamo i luoghi, l'ambiente, i monumenti: manca l'organizzazione in grado di valorizzarli". E fa l'esempio di Pompei, che dovrebbe essere oggetto di finanziamenti europei molto più sostanziosi: ma se non c'è un treno decente, puntuale e sicuro che garantisce i collegamenti da Napoli quale incremento turistico vi potrà mai essere?
Non è tanto l'alta velocità da Napoli a Bari, ma sono i collegamenti regionali, la loro buona organizzazione sistemica, l'aggiornamento costante di linee, uomini e materiali a rappresentare il vero biglietto da visita di un territorio nei confronti del turismo internazionale, e soprattutto il suo grado di civiltà verso gli utenti e pendolari che vi risiedono. Se ancora si pensa che sviluppo turistico e qualità della vita dei residenti viaggiano su binari diversi, siamo davvero fuori strada.
Tanto più che, affrontando il tema dell'agricoltura, Galdo scrive: "Dopo anni di abbandono delle terre, utilizzate per una capillare speculazione edilizia, c'è un fenomeno di ritorno alla campagna, ai prodotti locali, alle eccellenze del territorio (...) Tutto ciò deve diventare un sistema riconoscibile per la qualità e l'unicità dei prodotti". Anche su questo è evidentemente decisivo un buon trasporto regionale, sia per il movimento dei prodotti tipici locali verso i mercati, sia anche per il movimento opposto dei cittadini e dei turisti verso le mete eno-gastronomiche e rurali, che in Campania non mancano. Purché tuttavia non si dimentichi che oggi il marchio Campania è fortemente penalizzato dalla catastrofe degli sversamenti di rifiuti di ogni genere e dai roghi tossici che ricadono sulle campagne della ex Campania felix (da cui proviene peraltro in gran parte il vanto della mozzarella di bufala). Non vi potrà dunque mai essere vero brand Campania, senza la bonifica, il controllo e il riscatto dei territori colpiti da questa catastrofe.
Un'ultima riflessione riguarda l'industria manifatturiera e la riqualificazione urbanistica. La Campania non può competere con la Cina in "produzioni a basso e medio tasso di conoscenza aggiunto", ma dovrebbe puntare ad un forte raccordo tra ricerca scientifica e sviluppo delle imprese, per competere non sul costo del lavoro ma sulle innovazioni di processo e di prodotto. Ciò costituirebbe peraltro occasione di riqualificazione urbana, spingendo a creare nelle città ambienti favorevoli alla produzione di nuove idee, beni e servizi per uno sviluppo sostenibile. Quest'ultimo basato su due elementi fondamentali (e ritorniamo così al punto di partenza): qualità ambientale e mobilità collettiva efficiente.
Quanto infine alla banda larga, se ne parla da anni e dovrebbe costare una fortuna, ma qual è il suo vero significato? Consentirebbe di abbattere i costi delle connessioni - estendendo il wifi gratuito a tutta la regione - oppure sarebbe un regalo alle compagnie telefoniche? Prima di pensare al "digital divide" delle zone interne rispetto a quelle metropolitane, non sarebbe il caso di pensare a fermarne il progressivo svuotamento e a rilanciarne le economie?